
“Libri cult per insegnanti”: “La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero”
Secondo Edgar Morin soltanto attraverso un’integrazione tra le diverse discipline di studio è possibile la formazione di un pensiero complesso, necessario e imprescindibile nella società odierna
“Libri cult per insegnanti”: cinque suggerimenti da parte della direttrice de La Vita Scolastica, Silvana Loiero, per passare un’estate attenta, formativa e ricca di spunti culturali oltre che professionali.
Si tratta di testi che hanno rappresentato, e continuano a rappresentare, un punto di riferimento fondamentale per chi insegna. Libri CULT per ogni insegnante, da consultare anche a distanza di tempo dalla loro pubblicazione.
Il terzo della rassegna è “La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero” di Edgar Morin (Cortina Raffaello, 1999).
La presentazione di Silvana Loiero
“È meglio una testa ben fatta piuttosto che una testa ben piena”. Lo diceva Montaigne, e Edgar Morin riprende la frase nel titolo del libro. Spesso gli insegnanti sono presi dall’ansia da prestazione, bisogna fare “tante cose”. Ecco allora che una rilettura delle pagine del grande sociologo e filosofo francese può aiutare a riflettere: non ha senso far accumulare agli studenti quantità di nozioni relative a discipline separate, occorre invece insegnare a selezionare e interconnettere il sapere.
Soltanto attraverso un’integrazione tra le diverse discipline di studio è possibile la formazione di una testa ben fatta, capace di quel pensiero complesso necessario in una società quale è quella attuale, in continuo sviluppo e sottoposta a continui cambiamenti.
Morin invita insegnanti e studenti a riflettere sull’attuale stato dei saperi e sulle sfide che caratterizzano la nostra epoca: la posta in gioco sono i nuovi problemi posti alla convivenza umana da una interdipendenza planetaria irreversibile fra le economie, le politiche, le religioni, le malattie di tutte le società umane.
Per rendere queste sfide affrontabili, una riforma dell’insegnamento è indispensabile. Ma per realizzarla è necessaria una riforma dell’organizzazione dei saperi. È in questa prospettiva che Morin pone alla base della riforma della scuola che egli auspica quel tipo di pensiero la cui elaborazione lo ha reso famoso in tutto il mondo: il pensiero complesso.
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A lezione di Ignoranza
Un corso sorprendente ma serissimo alla Columbia di New York
Sapevate che alla Columbia University di New York c’è un corso di Ignoranza? Lo tiene Stuart Firestein, che è anche professore di neuroscienze e direttore del Dipartimento di biologia. Immaginare come funzioni un corso di Ignoranza porta a paradossi curiosi. L’esame misura quanto si sa sull’ignoranza o quanto si ignora? Per gli studenti è meglio prendere 18 o 30 e lode? Ancora: con quali criteri si organizza un concorso alla cattedra di Ignoranza? Come si forma la commissione? Con docenti di quali discipline? I suoi componenti dovranno essere di chiara fama o precari sfigati? I candidati presenteranno una lista di pubblicazioni scadenti? Vincerà la cattedra chi ha il curriculum peggiore?
Messa così non sembra una cosa seria. Invece lo è. Possiamo immaginare la conoscenza come un’isola che cresce in mezzo a un oceano che rappresenta l’ignoranza. All’inizio la scienza era un atollo piccolissimo, oggi è una grande isola divisa in varie regioni: fisica, chimica, biologia, informatica e così via. E si allarga sempre più rapidamente. Ma attenzione: con la stessa velocità si allunga la sua linea di costa. Cioè il confine con l’oceano dell’ignoranza. Dunque, osserva Firestein, il prodotto finale della conoscenza è l’ignoranza. Però, aggiunge, una «ignoranza informata», che si configura come nuove domande, che a loro volta produrranno risposte, cioè conoscenza, e quindi altra ignoranza. Fin qui è tutto abbastanza normale. Socrate insegnò che la vera conoscenza è sapere di non sapere e il cardinale Nicola Cusano (1401-1464) parlava di «dotta ignoranza», intendendo che si può conoscere l’ignoto solo mettendolo in relazione con ciò che già si conosce, ma perché ciò avvenga, occorre avere qualche vaga conoscenza dell’ignoto; solo Dio possiede una conoscenza infinita.
È tuttavia necessario un passo ulteriore, e Stuart Firestein lo fa: al di là dell’ignoranza che sappiamo di avere perché è il confine con il conosciuto (la linea di costa dell’isola), bisogna sapere che può esistere qualcosa che ignoriamo di ignorare. È un po’ come se, dalla costa dell’isola, vedessimo soltanto oceano e oceano e oceano: ciò non significa che oltre l’orizzonte non ci siano altri continenti, cioè l’ignoto immerso nell’ignorato. Questa, se volete, è una «dotta ignoranza» di secondo livello. Una meta-ignoranza o, da un altro punto di vista, una meta-conoscenza.
Stuart Firestein, da buon americano, non si avventura in ragionamenti così sottili, tipici della nostra filosofia europea. Però coglie il centro del bersaglio: la scienza progredisce tanto più rapidamente quanto più gli scienziati prendono consapevolezza della loro ignoranza e – ancora meglio – del fatto che esiste una ignoranza che ignorano.
Oggi quasi tutti i ricercatori lavorano chiusi dentro le soffocanti pareti della specializzazione. Firestein ricorda che nel 2002 «sono stati archiviati nel mondo cinque esabyte di informazioni, cioè quanto basta a riempire la Biblioteca del Congresso Usa trentasettemila volte». Ma dal 2002 «questo dato è cresciuto di un milione di volte». Nessuno potrà mai dominare una tale massa di informazioni neppure nell’ambito della propria disciplina. Figuriamoci che cosa potrà sapere delle discipline altrui. Eppure le cose più interessanti (le scoperte) si fanno sulla frontiere tra scienze diverse. Una dotta ignoranza dovrebbe portare a questa consapevolezza. Se poi si vuole davvero scoprire qualcosa di rivoluzionario, serve la meta-ignoranza: sapere che può esserci qualcosa che ignoriamo di ignorare.
Ecco perché, nel suo corso alla Columbia University, Firestein invita colleghi fisici, biologi, chimici, matematici, e chiede loro di tenere una lezione su ciò che non sanno. Non contento, ha scritto un libro – Viva l’ignoranza!, ora tradotto per Bollati Boringhieri (pp. 156 pagine, € 14) – dove ha raccolto il suo messaggio e una serie di «case history». Tra le «case history» c’è anche la sua. Incominciò a lavorare come aiuto direttore di scena di una compagnia teatrale e fece carriera fino a diventare regista. A quel punto, senza abbandonare il palcoscenico, si laureò in etologia alla San Francisco State University. Dopo aver indagato sul ruolo dell’olfatto negli animali, poiché il senso dell’odorato è costituito da terminazioni nervose, passò allo studio del cervello, l’organo più misterioso. Un percorso dall’ignoranza totale all’ignoranza che sa di ignorare e sa che potrebbe non sapere di non sapere.
Non vorrei però che qualcuno, scoprendo i paradossi di Firestein, giungesse alla conclusione che la scienza sa poco o niente e finisse con lo svalutarla, come tanti oggi tendono a fare. Se così fosse, il rimedio c’è. È il libro di Gilberto Corbellini Scienza (Bollati Boringhieri, pp. 156, € 9): qui troverete risposta a tutte le critiche che una cultura ignorante della propria ignoranza muove alla conoscenza scientifica. Tipo: la scienza è riduzionista e quindi inadeguata a spiegare la complessità del reale, gli scienziati non vanno d’accordo neppure tra loro, la scienza è un’organizzazione di potere, la scienza non genera valori e quindi è sottoposta all’etica, la scienza annulla la soggettività e quindi è sorda ai valori umanistici…. E se fosse vero proprio il contrario?
Viviamo nel paese della pseudoscienza? In Italia c’è più pseudoscienza che altrove? Il caso Di Bella e il metodo Stamina, due esempi di trattamenti fasulli, ma anche l’isteria che ha circondato gli ogm e persino i vaccini sono segni di un fenomeno tanto diffuso quanto pericoloso. Le pseudoscienze sono sempre fondate su dogmi e ideologie che non possono essere messi in discussione. Le teorie falsamente scientifiche non vengono mai formulate in modo tale da poter essere provate o smentite, i metodi sono segreti e rivendicano una straordinaria utilità pratica, come la capacità di curare malattie gravi. I resoconti sperimentali o clinici sono spesso incompleti e frammentari e, soprattutto, non finiscono mai sulle riviste scientifiche, ma sui social. E sui canali mediatici più potenti della nostra epoca gli pseudoscienziati non usano argomenti logici, bensì il linguaggio delle emozioni. Ma perché preferiamo credere alla pseudoscienza? Perché la troviamo più naturale della scienza? Gilberto Corbellini disegna una mappa dei pregiudizi più nocivi che colpiscono il nostro senso comune e, con la chiarezza e il rigore di un approccio naturalistico, ci guida nella scoperta delle origini e del modo di funzionare della pseudoscienza. Un fenomeno che minaccia profondamente la nostra società: la intossica, perché mette alla prova le basi cognitive che permettono la complessa costruzione del tessuto morale e politico di ogni democrazia liberale. Mentre “la scienza,” spiega Corbellini, “favorisce la diffusione del pensiero critico e così produce libertà”.
Mindset – Carol Dweck – LibroTerapia#25
LORENZO PAOLI – E tu hai una mentalità fissa o una mentalità di crescita?
Resumen del libro Mindset, de Carol Dweck
The power of believing that you can improve | Carol Dweck
“Dweck ci mostra chiaramente come le convinzioni che abbiamo sulle nostre capacità esercitino un’enorme influenza sul modo in cui impariamo cose nuove e sulle scelte fondamentali che prendiamo nel corso della vita. Il valore di questo libro si estende ben oltre l’ambito delle teorie educative. Esso può infatti rappresentare un punto di riferimento per tutti quei leader interessati a coltivare i talenti all’interno della loro organizzazione e per quei genitori che vogliano trasmettere ai figli l’entusiasmo per le nuove sfide”.

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